Radici e futuro: la ricchezza della cucina povera in un’epoca di eccessi
- Stefania Faccioli
- 29 mar
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 2 apr
Viviamo in un’epoca in cui il cibo è diventato spettacolo, moda e industria. Ci affasciniamo per ingredienti esotici, per le cucine che arrivano da lontano su navi e aerei, senza conoscere davvero la ricchezza della nostra terra e delle nostre tradizioni. Questa corsa verso il nuovo, il diverso, spesso nasconde una dimenticanza: la nostra storia alimentare è legata alla cultura delle terre povere, alla cucina del recupero, alla sostenibilità prima che il termine diventasse un trend.
Per chi, come me, ha vissuto oltre trent’anni di passione per la cucina consapevole, oggi diventa un’urgenza. L’economia di guerra che ci circonda, le difficoltà di approvvigionamento, il costo crescente delle materie prime ci riportano a un sapere antico: quello della cucina di necessità. Una cucina che non è solo sopravvivenza, ma che porta con sé cultura, intelligenza, bellezza e rispetto per ciò che ci circonda.
La cucina povera: genio e memoria
Parlare di cucina povera significa raccontare un’intelligenza collettiva affinata nei secoli, una capacità di trasformare la scarsità in abbondanza. È la cucina che ha saputo usare tutto, senza sprechi: il pane raffermo diventa pappa al pomodoro o ribollita, la polenta avanzata si fa croccante in padella, le bucce degli agrumi profumano dolci e liquori.
Questa cucina è anche la più sostenibile, perché utilizza ingredienti locali, stagionali, a chilometro zero. È la cucina delle nonne, delle madri che sapevano trarre il massimo da ogni alimento, senza buttare nulla. Oggi il nostro frigo è pieno, ma spesso di prodotti anonimi, senza storia. Recuperare la cucina povera significa riconnettersi con il territorio, imparare a leggere la natura e il suo ritmo, ridare valore a ciò che abbiamo.
Il paradosso della globalizzazione alimentare
Nel frattempo, la globalizzazione ci ha portato sapori lontani, prodotti che fino a pochi decenni fa erano sconosciuti. Non c’è nulla di sbagliato nell’amare il cibo di altre culture, anzi: è un arricchimento. Ma se questo ci porta a trascurare la nostra storia gastronomica, il prezzo è alto. Compriamo avocado provenienti dal Sud America quando potremmo mangiare noci, fichi e castagne. Cerchiamo spezie rare quando la nostra terra è ricca di erbe aromatiche che attendono solo di essere riscoperti.
La cucina contemporanea ci ha abituati a piatti sempre più elaborati, spesso costruiti più per stupire che per nutrire. Ma nel momento in cui il cibo diventa lusso, spettacolo, qualcosa si spezza. Perché il cibo è prima di tutto necessità, radicamento, vita quotidiana.
Riscoprire la semplicità
Tornare alla cucina delle radici non significa rinunciare al piacere, ma riscoprire il valore della semplicità. Cucinare con ciò che abbiamo, senza sprechi, diventa un atto di resistenza, un gesto di amore verso il mondo. È un modo di dire no al consumismo sfrenato, ai cibi che attraversano oceani, alla perdita di identità alimentare.
In un’epoca in cui tutto è eccesso, tornare all’essenziale può essere la più grande rivoluzione.
Ricetta salva-frigo: Crostata di recupero
Ingredienti:
• Pasta frolla avanzata (anche scaduta, se ancora buona)
• 2 mele
• Succo e buccia di 1 limone
• 40 g di marmellata (qualsiasi, io ho usato albicocche)
• Zucchero di canna (per spolverare)
• Qualche mandorla spezzettata

Procedimento:
1. Stendere la pasta frolla e bucherellarla con una forchetta.
2. Spolverare la base con un po’ di zucchero di canna e infornare per una breve precottura a 180°C (forno statico).
3. Nel frattempo, tagliare le mele a fettine sottili e mescolarle con il succo e la buccia del limone.
4. Spalmare la marmellata sulla base precotta, disporre sopra le mele e aggiungere le mandorle spezzettate.
5. Infornare nuovamente fino a doratura.
Il risultato? Un dolce semplice, economico e sostenibile, che sa di casa e di tradizione.
E la tua ricerca salva frigo qual è?
Per saperne di più seguimi su Instagram! @stefimanidilana
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