Le parole che usiamo ci definiscono
- Stefania Faccioli
- 11 feb
- Tempo di lettura: 2 min

Quando ero bambina, pronunciare correttamente non era scontato, e spesso inciampavo nelle lettere, le storpiavo, le ripetevo con ostinazione sperando di farle uscire giuste. Crescere con genitori sordi significava vivere in un mondo in cui le parole non erano scontate, in cui la comunicazione passava più dagli occhi e dai
gesti che dal suono.
Eppure, fuori da casa, quel mondo non si adattava a me: a scuola le parole erano il metro con cui venivi giudicato, la chiave per farti accettare o escludere. E se non le usavi nel modo giusto, diventavi “quella che parla strano”, “quella che non sa”.
All’epoca, non si dava importanza alle difficoltà di espressione. Se non trovavi la parola giusta, se facevi errori, era colpa tua. Nessuno si chiedeva perché. Nessuno si fermava ad ascoltare.
Così ho imparato a parlare per conto terzi. A osservare le reazioni degli altri, a scegliere con cura ogni termine, a decifrare il non detto per evitare di sbagliare. Mi sono allenata a essere precisa, dettagliata, a dosare le parole con la stessa attenzione con cui oggi ricamo un pensiero su un tovagliolo. Perché sì, le parole definiscono, e spesso diventano etichette che la gente ti appiccica addosso senza chiederti nulla.

Ma le parole non servono solo a descrivere. Le parole creano. Creano legami, creano significati, creano il modo in cui ci vediamo e in cui vediamo il mondo. E chi fatica a trovarle, chi non ne ha abbastanza, chi non sa come metterle in fila, spesso viene frainteso, giudicato, ridotto al silenzio.
Ora so che non è solo importante parlare bene, ma ascoltare meglio. So che dietro ogni errore c’è una storia, dietro ogni difficoltà c’è un percorso. E so che la bellezza di una parola non sta solo nella sua perfezione, ma nella sua capacità di arrivare, di toccare, di lasciare un segno.
Forse è anche per questo che oggi ricamo frasi sui tovaglioli. Perché le parole non siano più un ostacolo, ma un dono. Perché restino. Perché abbiano il tempo di farsi capire.
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